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Ausmerzen, vite indegne di essere vissute: un percorso toccante nella zona d’ombra dell’essere umano.
Scuro Chiaro

Ausmerzen, vite indegne di essere vissute: un percorso toccante nella zona d’ombra dell’essere umano.

Ausmerzen, vite indegne di essere vissute

“Ausmerzen, vite indegne di essere vissute” di Marco Paolini dal 20 febbraio al 3 marzo al Teatro della Cooperativa.

Uno spettacolo di teatro di narrazione che, con un taglio documentario e mai pietistico, ci scuote e spinge a ripensare il nostro rapporto con l’alterità, a confrontarci con il diverso per eccellenza, il non utile, il folle, il malato da espellere dalla società. Cosa avremmo fatto? Siamo certi ci saremmo schierati apertamente contro questa eliminazione sistematica? Questi gli interrogativi che la rappresentazione ci invita a cogliere.

La trama di “Ausmerzen, vite indegne di essere vissute”

Ausmerzen è davvero solo la storia dell’Aktion Te Vier, l’Azione Ti Quattro? Il testo ci porta certamente a scoprire il primo sterminio di massa Nazista che riguarda malati mentali, portatori di handicap, disabili e bambini affetti da malformazioni. I gusci vuoti sono il primo tiro al piattello, la scuola in cui esercitarsi, per prepararsi alla soluzione finale. Eppure, allo stesso tempo, lo spettacolo sembra inserirsi nel solco già tracciato da Primo Levi ne I Sommersi e i salvati: la sensazione è che non si debba e non si possa ridurre tutto allo schematismo manicheo del loro e noi, che si debba continuamente guardare alla realtà nella sua complessità e al Nazismo come un’ombra costante e pervasiva. 


La storia di Ausmerzen, infatti, comincia ben prima della follia Nazista e precede l’Operazione Reinhard, lo sterminio degli ebrei polacchi e dei rom nella Polonia occupata. Le sue radici affondano ancora prima delle deportazioni, dell’istituzione dei ghetti e della politica razziale perpetrata nella Germania Nazista: dobbiamo tornare fino alla fine del diciannovesimo secolo, al tempo della Belle Époque, quando teorie pseudoscientifiche, nonostante la loro assurdità, trovano gambe e si diffondono paradossalmente nei paesi più scientificamente avanzati.

Eugenetica: generare il bene/bello, un binomio che risale al periodo classico della Grecia antica, la culla della civiltà occidentale. Il termine, coniato da Francis Galton, cugino all’epoca ben più noto di Charles Darwin, rimanda a un’eco razziale che sul finire dell’Ottocento trova ”conferma scientifica” e quindi razionale, col tacito intento preservare la parte buona/bella della società, cercando di eliminare quelle che invece sono considerate le mele marce: malati di mente, disabili, storpi, portatori di malattie genetiche invalidanti, alcolizzati, tossicodipendenti, ecc. Insomma, chiunque non rientri nei buoni canoni e nei parametri stabiliti dalla società civile.

Regno Unito e soprattutto negli Stati Uniti, dove dal 1907 la legislazione permette la prima sterilizzazione coatta di malati e criminali, sono i paesi in cui l’eugenetica si afferma più rapidamente. A tal proposito risultano emblematiche le parole di elogio nei confronti delle politiche statunitensi scritte in Mein Kampf, il testamento politico ed esistenziale di Adolf Hitler.

Ma se in questi paesi la risposta al miglioramento della specie umana risiede nel to eradicate illness, quindi nello sradicare la malattia attraverso la sterilizzazione, è in Germania che trova casa il dolce suono della parola ausmerzen.

A marzo, mese da cui trae origine il termine tedesco, durante la transumanza, le pecore e gli agnelli che non reggono la marcia vanno soppressi. Si tratta quindi di sopprimere i deboli.

Ausmerzen, vite indegne di essere vissute
Foto di un periodico tedesco di epoca Nazista mostrata durante lo spettacolo

Ma perché sopprimere queste vite? Semplicemente per una questione economica.  Se è vero che le campagne di sterilizzazione impediscono la riproduzione delle persone “sbagliate” è altrettanto vero che le stesse continuano a vivere senza svolgere nessun servizio utile per lo stato, nutrendosi a spese del popolo “sano”.

Siamo nella Germania della Prima Guerra Mondiale, le famiglie tedesche sono stremate e spesso riescono a malapena a mettere insieme un pasto per i propri figli. Un’economia efficiente è necessariamente da porre alla base di ogni strategia politico-militare.
Si pensi alla “lista della spesa” ritrovata tra i documenti bruciati nel castello di Hartheim, uno dei centri operativi dell’Aktion T4

Nel testo troviamo il calcolo dettagliato con relativi decimali di quanto si è riuscito a risparmiare in termini di pane, patate formaggio e altri alimenti, ponendo fine a quelle Ballasexistenzen, “esistenze zavorra” che rappresentano appunto solamente un peso per lo stato.

O ancora, al compito di aritmetica sottoposto ai bambini tedeschi durante gli ani’30, quando la sterilizzazione coatta creava le basi per la futura Aktion T4: “Problema: un pazzo costa allo stato 4 Reichsmark al giorno, uno storpio 5,50, un criminale 3,50. In molti casi un impiegato statale guadagna solo 3,50 Reichsmark per ogni componente della sua famiglia e un operaio specializzato meno di 2. Secondo un calcolo approssimativo, risulta che in Germania gli epilettici, i pazzi eccetera ricoverati sono circa 300 000. Calcolare: quanto costano complessivamente questi individui a un costo medio di 4 Reichsmark? Quanti prestiti di 1000 Reichsmark alle coppie di giovani sposi si ricaverebbero all’anno con quella somma?”

Dalle parole ai fatti, l’occasione propizia per trasformare l’eugenetica in pratica quotidiana si presenta quando nel 1938 arriva sulla scrivania del Fuhrer la lettera di un contadino il quale chiede al suo leader di aiutarlo personalmente. Non vede altra soluzione per la sua famiglia che un’uccisione misericordiosa per il figlio disabile. 
Dal primo omicidio “volontario” all’iter di ricovero coatto e conseguente uccisione dei nutzlose Esser, coloro che mangiano a sbafo, il passo è breve. E dal 1939 il cerchio si allarga anche alla popolazione adulta.


La nostra recensione


La regia e l’interpretazione di Renato Sarti riprendono e rinnovano il testo edito da Einaudi e lo spettacolo omonimo di Marco Paolini andato in scena nell’ex ospedale psichiatrico “Paolo Pini” e trasmesso in diretta da LA7 il 26 gennaio 2011. E se Paolini ha scelto un registro drammatico, un’interpretazione rigorosa e intensa, la voce di Sarti è più quotidiana, più diretta e semplice. Sembra volutamente recitare una lista della spesa, dar voce ad un male diventato banale e quotidiano, ormai noto e accettato da cittadini di sonnacchiose cittadine tedesche e, implicitamente, anche dal pubblico.

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Ausmerzen, vite indegne di essere vissute
Foto dell’ospedale di Haidamar

Cercare di restituire il giusto valore a questo spettacolo, usando le poche righe a disposizione di una recensione, è impresa assai ardua. Il rispetto che si deve alle centinaia di migliaia di persone uccise perché ritenute non adatte alla vita rende difficile qualsiasi presentazione. Si fa fatica a trovare gli aggettivi adeguati. E il senso di fatica ci accompagna durante tutto lo spettacolo. 

Ausmerzen, vite indegne di essere vissute
Renato Sarti e Barbara Apuzzo in scena

Sarti e Apuzzo però non ci lasciano soli. Inserendo anche momenti di ilarità, ci prendono per mano e, come Virgilio con Dante, ci portano in quei luoghi dove senza una guida saremmo per sempre persi, senza più riuscire a trovare un senso per riemergere alla luce, abbandonati per sempre alle tenebre.
Sul palco, da un lato c’è Renato, seduto dietro una scrivania piena di documenti, dati e numeri, simboli di quello che rappresentavano per l’elite nazista e non solo, le Lebensunwertes Leben, le vite indegne di essere vissute. 


Dall’altro lato c’è Barbara, con la sua disabilità, vera, non mediata, che le sarebbe costata la vita se solo fosse vissuta in quei terribili anni. 
Nelle sue battute traspaiono vividamente la sua forza di volontà e l’intento determinato di comunicare quali mostri possa partorire la mente umana, quando in cerca di chimere o accecata da pregiudizi e ignoranza, tende a dividere le persone per giuste e sbagliate.

Ausmerzen, vite indegne di essere vissute
una scena di Ausmerzen, vite indegne di essere vissute

Alle spalle dei due attori, un sipario di cravatte. Un oggetto elegante, rassicurante, che contraddistingue l’uomo colto, lo scienziato autorevole, e che qui richiama tutti quei medici che si sarebbero dovuti occupare della salute delle persone, e che invece, forti della fiducia in loro riposta hanno convinto migliaia di famiglie a decretare la morte dei propri cari.

Quando alla fine del viaggio, con le lacrime agli occhi ascoltiamo l’ultimo monologo di Barbara, ci rendiamo conto che il male di cui si è parlato non è stata una malattia genetica, ereditaria, quelle persone appartenevano come noi alla razza umana, e quindi chiunque può accorgersi un giorno di aver commesso del male. Perchè il male, come chiosano Sarti e Apuzzo, è come il cancro: all’inizio non ti accorgi che stai male, poi, quando si è scoperta la malattia, si cerca, si prova a guarire. 

Ausmerzen, vite indegne di essere vissute
Una vittima dell’Aktion Tier

Credits

Ausmerzen, vite indegne di essere vissute
di Marco Paolini, Mario Paolini, Michela Signori, Giovanni De Martis
regia, scena e costumi Renato Sarti

con Renato Sarti e Barbara Puzzo
assistenti alla regia Chicco Dossi
tecnica Vincenzo Pedata, Matias Ramisch, Davide Palla
si ringrazia Luca Bellè, Fabio Songa, Paolo Cattaneo, Salvatore Burruano, ASST Grande Ospedale Metropolitano Niguarda
produzione Teatro della Cooperatiph. Barbara Rocca
SPETTACOLO INSERITO IN INVITO A TEATRO

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