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Tutto quello che volete, Teatro Litta 6 maggio 2019
Scuro Chiaro

Tutto quello che volete, Teatro Litta 6 maggio 2019

TUTTO QUELLO CHE VOLETE NUOVA PRODUZIONE – prima Nazionale al Teatro Litta il 6 maggio 2019

di Matthieu Delaporte – Alexandre de la Patellière
traduzione Paola De Vergori
con Rossella Rapisarda, Antonio Rosti
regia e disegno luci Fabrizio Visconti

design multimediale Leandro Summo
scene Marco Muzzolon
costumi Mirella Salvischiani
musiche originali Marco Pagani
un progetto La Gare
con la partecipazione di Alessia Vicardi, Gaetano Callegaro
si ringrazia Centro Culturale Rosetum
con il sostegno di Regione Lombardia – Progetto NEXT 2018

durata dello spettacolo: 1 ora e 20 minuti

“…Le parole, una volta scritte, prendono una piega inaspettata. Una persona diventa un personaggio e tutto è diverso…”

Lucie è una drammaturga di grande successo. Incapace di fantasia, scrive solo della sua vita, trascrivendo da sempre dialoghi, incontri, eventi che l’hanno vista protagonista, cercando, attraverso la finzione narrativa, di mettere la giusta distanza emotiva tra lei e il mondo in cui si trova.

Eppure, incapace di vita, vive pienamente solo di quello che scrive. Sposata a un attore di successo parecchio più anziano di lei, da quando la sua vita si è fatta tranquilla e agiata ha smarrito completamente la sua vena creativa.
L’arrivo di Thomas, il nuovo vicino di casa, un non artista, sarà l’evento che sconvolgerà gli equilibri il cui prezzo Lucie sembra non essere più capace di pagare.
Una commedia raffinatissima e intelligente sul rapporto tra la definizione della propria identità e il rapporto con la vita quotidiana; sugli scrittori, le loro ossessioni per la ricerca dell’ispirazione e il prezzo in termini di connessione con la vita “reale”; oppure semplicemente un esempio di quanto per le nostre scelte siamo disposti a toglierci in termini di vita vissuta.

Eppure una commedia, perché come i francesi ben sanno, dei nostri ondeggiamenti c’è da ridere parecchio.
“Tutto quello che volete” è l’ultimo testo della coppia d’oro Matthieu Delaporte – Alexandre de la Patelliére che, dopo il clamoroso successo de “Le prenome”, tradotto in opera cinematografica e arrivato in Italia con il titolo di “Cena tra amici”, con questo lavoro a detta unanime della critica francese (nel 2017 6 mesi di tutto esaurito a Parigi), tornano a raggiungere quella stessa forza scenica imbastendola su tematiche di importante valore sociale e antropologico.

La scommessa della nostra Compagnia è quella di portare in esclusiva in Italia un testo qui ancora mai rappresentato, che siamo sicuri stupirà per la varietà di registri e per la facilità della scrittura scenica. Continuiamo in questo modo il percorso di affinità e indagine sulla Commedia Francese iniziato felicemente con “Montagne russe” di Eric Assous.

Note di regia

Frase centrale per orientare l’analisi del testo è il passaggio:
“…Le parole, una volta scritte, prendono una piega inaspettata. Una persona diventa un personaggio e tutto è diverso…”
Questa battuta, pronunciata da Lucie, la commediografa, racconta della genesi del suo scrivere, di come nella sua vita l’esperienza infantile di vivere il disagio dei continui litigi tra sua madre e suo padre abbia trovato pace solo nella strategia di trascrivere la sera le frasi del conflitto dei genitori per poi rileggerle su carta e, in questo modo, trasformarle in qualcosa di apparentemente letterario, sufficientemente distante dall’esperienza personale da poter essere gestito a livello emotivo. L’esperienza espressiva, in embrione artistica, diventa filtro salvifico per l’integrità dell’identità personale. Nella replica di questa modalità d’approccio troverà forma l’intera e successiva opera di Lucie, che vorrà e saprà scrivere solo della sua vita, facendo così della scrittura il diaframma necessario a rendere possibile il rapporto tra lei e la realtà che attraversa.
Il prezzo in termini di distanziamento dalla capacità di entrare in contatto epidermico e pieno con l’esperienza della propria vita, viene vissuto come istintivo e naturale, quasi identitario della sua natura di donna ancor prima che di artista.

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Non è un caso che, privata dei conflitti della quotidianità da una vita “troppo felice e agiata” con il marito, Lucie perda la vena creativa e si richiuda in una sterilità inquieta che può capire soltanto chi vede scorrere la propria vita davanti a sé, senza la capacità di viverla, né di farne qualcosa di utile: solo una sequenza di eventi apparentemente vuoti di impatto e di significato, in cui veder palesarsi sempre più vivida la propria incapacità di vivere il quotidiano.
La distanza inquieta e inquietante tra l’individuo e la sua esperienza di vita trova forma nella vicenda specifica di Lucie, pur senza smarrire in questo caso la sua valenza universale. Abbiamo la percezione di trovarci di fronte ad una donna in crisi assai più che ad una artista svuotata, ci possiamo riconoscere nei suoi meccanismi come se fossero i nostri.
La sovrapposizione quasi Pirandelliana tra la soluzione istintivamente escogitata dal duo Lucie/Thomas – mentire sapendo di mentire per costruire realtà più stimolanti – e il nostro comune cercare in strategie di distanziamento dalla fatica del reale una via per non soccombere alla nostra fragilità emotiva, racconta di questa fatica del saper leggere la distanza tra esperienza reale e gestione di questa esperienza, tra identità profonda e identità costruita.
La maschera indossata per giocare con il mondo diventa il nostro vero volto, salvo sciogliersi allo spegnersi dei riflettori. Dicendola, appunto, con Pirandello: “la sera, dopo lo spettacolo, quando rimaniamo soli nel nostro camerino davanti allo specchio, davanti ai costumi appesi, ci guardiamo ma non ci troviamo”.
La strategia di sopravvivenza che ha plasmato uno scudo e una maschera ci si rivolta contro, una volta nudi, lasciandoci privi di un volto realmente nostro in cui riconoscerci e conoscerci.
E così Lucie. E così pure Thomas.
E, come nella drammaturgia che vale, tutto questo meccanismo complesso, universale e generatore dell’intero tracciato drammaturgico, si condensa nella battuta finale, quando, al termine di innumerevoli conflitti che hanno minato la possibilità di redenzione e riscatto della vita dei protagonisti, proprio nel momento in cui questo sembra possibile e finalmente Lucie e Thomas sembrano pronti a entrare, finalmente saggi e consapevoli, nel pieno compiersi delle cose, proprio nell’attimo precedente il bacio che sancirà il lieto fine di questa commedia molto umana e tutt’altro che banale, lei chiede a lui “Mi prometta che continueremo a darci del lei” e lui, complice, acconsente.
Qui è il trionfo della distanza tra l’umano e il mondo, che il testo denuncia sotto le spoglie della commedia elegante.
La scenografia sintetizza questa condizione e, quello che nel testo sarebbe un appartamento alto borghese in cui Lucie compone agiatamente le sue opere, è per noi una stanza claustrofobica sospesa dal pavimento; un’elegante prigione distante dal mondo, di poco, di quel tanto che consente di non sentirne la vertigine, eppure abbastanza per non toccare la realtà. In questo cubo sicuro e privato, Lucie svolge la sua vita di eremita del proprio salvagente letterario.
I due si troveranno a muoversi in questo spazio angusto in cui ogni gesto va calibrato e viene riempito di senso, proprio perché sembri naturale e non denunci la costruzione del meccanismo.
Lo spettatore vede lo svolgersi della commedia della vita, in cui tutto appare normale senza esserlo, in cui il set è denunciato ma in modo garbato, in cui l’eleganza dissimula la tensione.
Una moltiplicazione spaziale del gioco drammaturgico in cui lo spettatore può godere indisturbato del piacere di vedere il teatrino della vita, salvo poi accorgersi nel terzo atto, quando i due protagonisti usciranno dal cubo per diventarne spettatori, della sovrapposizione tra loro e noi, in un gioco di specchi simile a quello di Pirandello in “Trovarsi”.

Il tutto meravigliosamente piacevole, come nella più raffinata commedia francese.

Rossella Rapisarda
2003 – Diploma in Recitazione presso il GITIS (Russian University of Theater Arts – Mosca)
1997 – Diploma in dizione e doppiaggio presso Quelli di Grock
1996 – Diploma recitazione presso il Teatro Arsenale di Milano.
Ha frequentato corsi e stage con diversi Maestri e registi, tra cui: Silvio Soldini, Jurij Alschitz, Marcello Magni, R. Tuminas, P. Bylan, Jango Edwards, Elisabeth Zundel, Peter Clough, Enrique Pardo, J. Paul Denizon.
Fondatrice degli Eccentrici Dadarò è attrice e autrice di molti spettacoli della Compagnia.
Ha lavorato come attrice con diversi registi, tra cui: Fabrizio Visconti, Jurij Alschitz, Enrico Bonavera, Renato Sarti, Bruno Stori. Giovanni Calamari, ricevendo diversi premi.

Antonio Rosti
Diplomato nel 1977 alla Scuola d’Arte Drammatica del Piccolo Teatro di Milano.
In oltre trent’anni di carriera è stato diretto, tra gli altri, da: Dario Fo, Carlo Cecchi, Franco Parenti, Elio Petri, A. Ruth Shammah, G. De Bosio, B. Stetka, A. Longoni, G. Lombardo Radice, R. Sarti, A. Syxty, M. Schmidt, Fabrizio Visconti.
Ha lavorato con: Dario Fo, Carlo Cecchi, Gianrico Tedeschi, Franco Parenti.
Ha fatto parte di importanti Compagnie italiane quali: Stabile di Genova, Veneto Teatro, Teatro di Porta Romana, Teatro Litta, Teatro della Cooperativa, Pacta dei Teatri.
Attore, regista e autore di numerosi spettacoli, insegna recitazione in molte Scuole italiane.

Fabrizio Visconti
2003 – Diploma in Regia presso la GITIS (Accademia Russa d’Arte Drammatica – Mosca) sotto la guida del M° Jurij Alschitz.
2008-10 – Co-direttore artistico del Teatro Filodrammatici di Milano, responsabile direzione del progetto Atelier (progetto d’integrazione delle Arti visive).
2015 – Master in “Lighting Design & LED Technology” presso il Politecnico di Milano (110/110).
Attualmente è direttore artistico dell’Associazione Eccentrici Dadarò, (riconosciuta e finanziata da Ministero MIBACT, Regione Lombardia e Fondazione Cariplo), per la quale segue le regie a la scrittura drammaturgica degli spettacoli e con la quale ha vinto, tra gli altri, il Premio ETI Stregagatto nel 2003 come migliore Compagnia Italiana Emergente, nel 2006 il Premio Eolo Award per il migliore spettacolo italiano, e nel 2010 per il miglior progetto produttivo italiano.
Si occupa anche di installazioni artistiche e di progetti di illuminazione per concerti, Compagnie Teatrali, mostre e allestimenti.

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