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Manuale di volo per l’uomo
Scuro Chiaro

Manuale di volo per l’uomo

felicità
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Manuale di volo per l’uomo.
Come?!
L’uomo non ha ali! Non è fatto per volare!

Eppure si! Da sempre nel cuore dell’uomo c’è questo bisogno, forse non è uno bisogno fisico di volare, ma sicuramente un bisogno dell’anima di alzarsi, di cogliere la bellezza di un insieme di cui si è parte.

Simone Cristicchi cerca di tracciare una via, un manuale per volare.
Un argomento evidentemente molto caro a Cristicchi, vi ricordate la canzone con la quale già anni fa toccò i cuori e gli animi di molti italiani, “Ti regalerò una rosa”?
Già li il protagonista Antonio terminava con un volo e l’affermazione “ora Antonio sa volare!”

In questo spettacolo, tutto e solo vero teatro, c’è tutto il cammino di Cristicchi.

E’ una sorta di confessione, ma anche rivelazione, invito, agli spettatori a trovare costruire il proprio manuale di volo.

Simone è Raffaello, come il pittore, (non a caso come i pittore).

Un palco che è una stanza nuda (un letto, una sedia, un comodino di quelli da ospedale), un unico colore il bianco, bianco è anche l’abbigliamento di Raffaello.

Raffaello, che è un uomo di quarantanni, ma è anche un fanciullo , un piccolo di questo mondo, un semplice, uno che non ha niente o comunque molto poco, uno che ha un grande vuoto.

Raffaello in questa stanza, forse una stanza di ospedale, si rivolge a questa sagoma sul letto coperta da un lenzuolo, una uomo o una donna… una donna, una madre.

Raffaello che si oppone, che rifiuta, che racconta la sua rabbia e il suo dolore dell’abbandono, ma che piano piano si avvicina a questa donna, questa madre, che si esprime solo ogni tanto con dei suoni, dei mugoli.

Si avvicina e si/le racconta la sua vita, i suoi pensieri di fanciullo, il suo modo di rifugiarsi nella stranezza dei numeri, di contare le lettere di tutte le parole, per trovare un senso un ordine nella sua vita.

Racconta di piccole storie, delle sue meraviglie davanti alle piccole cose.
“il pino è l’esplosione di un pinolo!” – La meraviglia, la bellezza e la grandezza dei “pisciacane”, queste piccole semplici erbe di campo con questo impalpabile, lieve fiore che con un soffio “vola” e si sparge, diffonde per ogni dove.

Racconta della bellezza di una ferramenta dove tutto è in ordine, ogni cosa ha il suo posto, come dovrebbe essere per ognuno nel mondo.

Racconta la bellezza dell’amicizia, dell’amico meccanico/filosofo.

Racconta dell’amore, di un amore che anche lui ha avuto.

Della scoperta che l’amore è vita, perché lo dice la parola stessa.

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“amore, a privativo, mors, morte. – Amore è il contrario di morte.”

E mano a mano che si racconta, che si avvicina e si prende cura di questa madre, scena dopo scena gli abiti di Raffaello si colorano, di blu, di azzurro, del giallo di una stella, perché Raffaello è pittore, pittore della propria vita.

Questo per cercare di dare un’idea di come si svolge lo spettacolo.

Ma come dire, come raccontare il senso di tremore, di meraviglia, di attesa, di tenerezza, di gioia che ti suscita perfino le lacrime?

Perché queste sono le emozioni che piano piano ti nascono dentro, si mescolano, crescono, ti fanno sorride e lacrimare insieme.

Emozioni che appartengono a tutti, perché sentivo chiaramente come tutto il pubblico era immerso in questo mare o forse cielo, tra queste nuvole e volava tra questi sentimenti.

Vi confesso ad un certo punto mi sono scoperta con la bocca aperta, come i bimbi meravigliati che aspettano la sorpresa, le mani giunte, come una preghiera, ad ascoltarlo, no di più, a “sentirlo”!
Il finale avrebbe dovuto essere, più che gli applausi, che ci sono stati ovviamente e scroscianti, un immenso e grande abbraccio, perché è questo che si è creato in quel ora e quaranta tra il palco e la platea.

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