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Parliamo di Musica, non di musica.
Scuro Chiaro

Parliamo di Musica, non di musica.

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Siamo capaci di ricordarci cos’è la Musica?

Che fine ha fatto il valore della Musica?
Come sapete io sono solito a non criticare i social, visto che è grazie a questi se leggete le mie parole, o comunque è grazie a loro se sono conosciuto. Ma in questo caso specifico, non circoscritto tra l’altro, la critica è forte e accesa.

Siamo abituati ad ascoltare la Musica in modo facile, accessibile, spesso anche gratuito. Ne consegue un utilizzo “spensierato” della Musica.
Per capire cosa intendo basta immedesimarsi anche solo nel 700/800, momento in cui Edison non aveva ancora tirato fuori il fonografo quindi per ascoltare della Musica era necessario pagare fior fior di quattrini per andare a teatro.

E non tutti potevano.

E non tutti capivano.


Certo, anche in quell’epoca c’era chi suonava in strada o nei borghi, ma comunque era Musica “dal vivo”, non takeaway.

Torniamo al discorso principale: la Musica dunque aveva un valore diverso, meno spensierato possiamo dire. Oggi assistiamo a un fenomeno ancora peggiore: la musica che soppianta la Musica. Infatti ci troviamo difronte a giovani che non solo non conoscono Chopin, Schubert e Brahms (cosa sbagliata, ma “accettabile”), ma ci sono ragazzi che non conoscono la musica di pochi decenni fa!

Non sanno chi è Modugno, non conoscono le canzoni di Morandi, non conoscono i Queen, gli Europe (su di loro non piange nessuno)…ma ancor più grave non conoscono generi diversi dai due o tre proposti ora (reggaeton, trap, un ormai sempre più dozzinale rap e poco altro), non si conosce il rock, il punk, il metal, la musica d’orchestra di Morricone…

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E tutto questo è diverso dai giovani degli anni 70 solo per un motivo: I social.


Infatti anche negli anni 70 si ascoltavano i tormentoni, e anche in quel momento sembravano esistere solo 3 generi in croce; ma comunque il valore culturale della musica “antica” (inorridisco a chiamarla così), ancora c’era e non veniva dimenticato!


Invece adesso, nell’epoca dell’industria culturale in cui la fruibilità immediata la fa da padrone succede che anche chi fa rap come musica (vero rap) si mette a fare reggaeton per portare a casa la pagnotta. E non è colpa sua.

Ormai chi ascolta la musica spaziando tra i generi, e conosce la musica davvero, si annoia a morte ad ascoltare le canzoni oggi virali, perché non ce n’è una diversa dall’altra, tutte fatte per vendere e nessuna fatta per dare cultura a chi ascolta.

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Triste eh? Il ritmo “tum patumpa tum patumpa” del raggaeton è entrato nelle orecchie ormai sanguinanti di chi studia i 2/4 della Quinta di Beethoven, o anche solo nelle disperate orecchie di chi ha voglia di spaziare, di cercare e di scoprire qualcosa di nuovo.

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Ecco a voi un’altra parentesi che voglio aprire: chi cerca cose nuove, come fa?
Tutto questo è una condanna a vivere nella perenne frustrazione esistenziale di chi conosce il valore della musica, e cerca quindi nuove ispirazioni, nuovi ritmi, nuove canzoni, e si trova invece invischiato in questa colla umidiccia della monotonia musicale.


Ormai, visto che anche grandi artisti con grandi talenti, si vendono alla migliore etichetta facendo pezzi che possano diventare il tormentone estivo, le alternative diventano poche, al limite dell’insufficienza; tanto che siamo spesso portati, tutti, a spulciare canzoni del passato non per il gusto retrò, ma perché è l’unico modo che abbiamo per evadere dalla prigione dei soldi.

Con questo non voglio generalizzare, c’è ancora chi insegna ai propri figli la vera Musica e c’è chi la fa, la vera Musica; ciò non toglie che questo spetto dei social, di rendere dozzinale un’arte così nobile, va combattuto con unghie, denti, e chiavi di sol.

Pietro Morello

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