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Intervista a Peppino: ”Per me la musica è la via d’uscita da questa orrenda macchina sociale”
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Intervista a Peppino: ”Per me la musica è la via d’uscita da questa orrenda macchina sociale”

E’ disponibile in digitale ”Fatto Così”, il nuovo ep del cantautore calabrese Peppino, un artista “indie-pendente” formatosi al C.E.T. di Mogol che ha fatto della sperimentazione musicale il suo tratto distintivo: un mix sempre in evoluzione di pop, elettronica e rock che confluisce in un sound indie-pop unico.

Il nuovo progetto esplora l’universo interiore dell’artista attraverso sonorità che mescolano influenze degli anni ’70 e ’80 con un tocco moderno che rimanda a diverse sfumature del pop. Ogni brano rappresenta una storia intima, affrontando temi come la crescita, la nostalgia e le occasioni mancate. Il progetto utilizza un linguaggio musicale semplice e profondo, in cui la musica diventa sia una valvola di sfogo che uno strumento per riflettere. I testi hanno un linguaggio che lascia spazio all’interpretazione, ma il tema centrale resta comunque quello della sincerità.

«Questo EP è un progetto che riflette il mio modo di essere: accettare la banalità della vita può, a volte, renderla più straordinaria – dichiara Peppino – Ho scelto di chiamarmi così per un motivo fondamentale: nessun alter ego, nessuna trasformazione, solo Peppino. Con questo, non intendo dire che la mia scrittura sia banale, ma sottolineare che, spesso, la semplicità supera i tecnicismi e che non è necessario mettere il personaggio prima della musica».

GIUSEPPE VENTURINO, in arte PEPPINO, nasce a Roccabernarda (KR) tra i paesaggi della Calabria e fin da giovane sviluppa un interesse per la musica, in particolare per il sassofono classico. A 16 anni vince una borsa di studio al C.E.T. di Mogol grazie al brano “Claustrofobico”. Dopo il diploma decide di intraprendere un percorso di studi in filosofia, un campo che ancora oggi influenza il suo modo di fare musica. Trascorre 12 anni a Roma tra conservatorio e università. Nel 2013 ottiene il terzo posto al Premio Mia Martini con il brano “A Gonfie Vele”. Nell’ultimo anno ha calcato i palchi di numerosi locali in tutta la Calabria e lo scorso aprile ha preso parte come ospite al concorso canoro “Festival di Primavera. Io Canto”.

In un’epoca in cui molti cercano di “somigliare” a qualcosa o qualcuno, quanto è stato liberatorio per te scrivere un EP che sembra andare nella direzione opposta — quella dell’accettazione di sé?
Per me la scrittura non è una botta di autostima, ma una pratica quotidiana che mi aiuta a vivere. Come diceva Lucio Dalla: “Io voglio essere io, ma a modo mio!” Oggi è difficile accettarsi, è difficile essere se stessi. Ma, come diceva sempre Lucio: “L’impresa eccezionale, dammi retta, è essere normali.” Continuo a pensare che, in un mondo dove ci vogliono sempre tutti uguali, la musica e tutte le arti restano un faro di unicità e delle vie d’uscita da questa orrenda macchina.


Nell’EP si percepisce un equilibrio tra profondità e leggerezza, è una cifra stilistica che insegui o qualcosa che emerge naturalmente mentre scrivi?
Mi piace dire che la semplicità e l’immediatezza sono ciò a cui miro. Cercare parole semplici per esprimere concetti più profondi è qualcosa che, a volte, mi viene naturale e immediato, come se le parole stesse fluissero con facilità. Altre volte, invece, richiede più tempo e riflessione, come un lavoro di affinamento.
E questo è il bello di scrivere, no? È un processo che non si può mai prevedere completamente, in cui ogni parola scelta è una piccola sfida. La bellezza sta proprio nel fatto che, a volte, si riesce a cogliere quella semplicità perfetta, altre volte bisogna lottare per trovarla.

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La voce, nel tuo progetto, non è solo un mezzo ma anche un’identità. Quanto conta per te il “modo” in cui dici le cose, oltre a ciò che dici?
La voce è il linguaggio dell’anima, e le parole sono lo strumento attraverso cui essa suona. Come diceva Demetrio Stratos: “Cantare la voce, non farla prigioniera di un significato!” Cerco, attraverso il canto, di dare lustro a quello che dico, senza che l’una sovrasti l’altra. Questo è ciò a cui aspiro, anche se, come ben sappiamo, non sempre si ottiene ciò che si vuole. Siamo umani, e nulla di ciò che è umano ci è estraneo, come diceva Menandro.


Molti artisti temono il silenzio tra un’uscita e l’altra. Tu sembri, invece, prenderti il tempo che serve. Cosa ti spinge a rallentare, a non forzare i processi creativi?
Sono nato in un paesino della Calabria, dove i tempi sembrano quasi dilatati. Ogni cosa ha il suo ritmo, e ogni canzone è come un bambino: non può nascere prematuramente. È una questione di rispetto nei confronti del tempo: a cosa serve forzare le cose? A cosa serve vivere in fretta? Io vivo per godermi il momento e anche l’evoluzione naturale delle mie canzoni.


“Fatto così” suona come un punto d’arrivo, ma anche come una partenza. Ti senti più alla fine di un percorso o all’inizio di uno nuovo?
Non mi pongo mai queste domande. Scrivere è una parte così naturale della mia quotidianità che non ci faccio nemmeno più caso. Ho deciso di pubblicare le mie cose perché, sinceramente, credo di essere nato per farlo. Poi, che sia il tempo a decidere se finirò a fare il bidello o il cantante, poco importa: tanto, almeno mi divertirò lungo il cammino!

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