Sicuramente il mondo non ha bisogno di ulteriori figurine da collezionare.
Escape to the Roof
Prosegue il racconto surreale della band anonima Escape to the Roof con Fried Blues Chicken , primo singolo estratto del nuovo album, in uscita a breve.
Di cosa parla “Fried Blues Chicken” degli “Escape to the Roof”
Il singolo Fried Blues Chicken è il primo manifesto degli Escape To The Roof in cui propone una metafora della vita, sulla società, sulla produttività in batteria, che parte dalle parole di Margaret Heffernan che riprende lo studio sui polli di un biologo evoluzionista della Purdue University, William Muir: “Muir s’interessava di produttività, una cosa che penso riguardi tutti noi, ma che nei polli è facile da misurare perché basta contare le uova. Voleva sapere come rendere i suoi polli più produttivi, così escogitò un bell’esperimento. I polli vivono in gruppi, quindi ne selezionò una colonia media e la lasciò crescere per sei generazioni. A questo punto, creò un secondo gruppo composto dagli individui più produttivi, che chiameremo ‘superpolli’. Questi furono riuniti in una super colonia, selezionando da ogni generazione soltanto gli individui più produttivi. Dopo sei generazioni, indovinate cosa scoprì? I polli del primo gruppo, quello medio, se la passavano benissimo. Erano tutti belli grassottelli e ben piumati e la produzione di uova era aumentata notevolmente. E il secondo? Tutti morti, eccetto tre superstiti che avevano beccato a morte tutti gli altri.”
Conosciamo meglio gli “Escape to the Roof”
Per scoprire, lo scopribile, su questa band che vuole rimanere nell’anonimato per dare maggior valore all’ascolto della sua musica clicca qui.
Quattro chiacchiere con degli “Escape to the Roof”
Per me il vostro è un progetto bellissimo a prescindere e appoggio tutto il vostro pensiero dall’inizio alla fine e la prima curiosità che mi divora è : come vi è nata un’ idea così geniale?
Diciamo che a noi le idee non mancano, ci mancano un po’ di mezzi.
Decidete di andare contro ogni qualsiasi conformismo: il vostro anonimato, una storia che viene raccontata passo dopo passo, un salto indietro (per fortuna) nella musica quella vera…
Quest’ultima era la cosa principale da fare visto i tempi di “magra” rispetto alla qualità musicale del panorama attuale.
Come pensate risponderà il pubblico a questo vostro salto nel buio?
Noi non siamo dei giovani esordienti e quindi abbiamo testato con mano la “fame del buon vecchio rock” del pubblico che viene ai concerti e sono molti.
Si tratta di una ricerca emotiva che deriva dall’impatto sonoro dato dal palco vero.
Con questa vostra scelta di anonimato voi vi giocate tutta quella parte, oggi ritenuta fondamentale, legata all’immagine, ai follower… dovete puntare ancora di più tutto sulla vostra musica.
Sì, noi puntiamo tutto sul gesto artistico fondamentalmente. Ci interessa molto questo aspetto legato a una forma di “depurazione” dell’opera dalla biografia dell’autore, è secondo noi un atto dovuto, quasi religioso, che un compositore deve portare rispetto alla propria opera.
Veniamo a questo primo brano definibile meglio come primo “racconto” di una storia. Parlami un po’ della storia di questo pollo…
È una metafora dell’uomo moderno che vogliamo essere. Siamo diventati o stiamo diventando tutti quanti dei “polli da batteria”. Questo brano prende spunto da un famosissimo esperimento condotto da un biologo americano che faceva degli studi sulla produttività dei polli.
Sperava che selezionando gli esemplari più produttivi di una colonia media si potessero ricreare una colonia di “super polli” che diventavano una sorta di super eroi che producevano in quantità industriali.
Alla fine di questo processo i polli normali dopo generazioni erano ben pasciuti, rigogliosi e produttivi nella media ma in salute. I “super polli” si erano estinti, auto distrutti eccetto tre che avevano beccato a morte tutti gli altri.
Voi quindi, mettendo da parte la competitività che oggi spesso ci pervade anche artisticamente, parlate di fare arte collettiva. Secondo voi, sopratutto il mondo dei giovani, può tornare a questo modo di approcciare e vivere la musica?
Assolutamente sì. In realtà anche i ragazzi hanno fame di ritrovarsi, è il sistema che da loro degli spunti che probabilmente non sono gli strumenti giusti, tra cui il social.
I ragazzi hanno sempre bisogno di fare comunità e i segnali non sono negativi e noi restiamo ottimisti perché i giovani sono il nostro domani.
Veniamo al nome della vostra band “Escape to the Roof”. Voi scappate sul tetto per guardare il mondo dall’alto?
Non solo per questo, ma per guardare le stelle fondamentalmente che spesso è una cosa che ci rimette al mondo.
Nel tempo ci svelerete altre cose?
Sì, le faremo anche personali ma il credo sull’opera d’arte rimarrà questo.
Il video di “Fried Blues Chicken” degli “Escape to the Roof”.
Sceneggiatura, progetto grafico, animazione sono a cura di Maria Cangemi, la produzione è di SaganaS.
La parola al regista: “Nel videoclip attraverso l’essenziale duello tra linee bianche e nere viene a galla lo scontro tra il bisogno umano di osservare l’abisso e il terrore di caderci dentro aggrappandosi al pollo fritto, che però è unto. Il testo del brano e le immagini scorrono accanto toccandosi, a tratti, per poi tornare a percorrere il proprio sogno che si agita sulle stesse note.”
Ecco poi una approfondita ed esaustiva descrizione nel dettaglio da parte della band dopo accurato dibattito con il regista: “Fondo bianco e fondo nero, linee bianche, linee nere. Fondo bianco. Una linea nera. Linea, linea. Una linea. Una linea nera. Linea. Linea linea linea. Linea, linea. Linea nera, una linea nera, nera, linea nera. Linea nera linea linea linea nera, linea. Linea linea nera nera. Una linea nera. Nera linea nera. Una linea? Nera. Fondo nero. Una linea bianca, linea, linea bianca. Bianca linea, linea bianca bianca. Linea linea linea bianca. Linea bianca, linea linea, bianca bianca. Bianca linea bianca.”