Incontriamo Roberto a Torino, pochi giorni prima della messa in scena al Teatro Erba di Lettere a Yves, si crea subito un clima confidenziale e intimo e l’intervista diventa più una chiacchierata tra curiosità e aneddoti di una vita ricchissima di bellezza artistica e talento.
Chi è Roberto Piana? Nasci come ballerino, ami molto l’arte in tutte le sue forme, hai allestito mostre, collaborato con il cinema, sei un regista di successo… ci racconti questo percorso?
Chi sono? Roberto Piana è sicuramente una persona curiosa perché la curiosità, I’ ho sempre pensato, è la scintilla che porta l’intelligenza, non c’è intelligenza senza curiosità e devo dire che, non perché sia intelligente, ma curioso sicuramente sì, il mio percorso sta a dimostrarlo. È un percorso molto trasversale perché sono nato come ballerino classico e già lì ero curioso, non mi bastavano il lavoro alla sbarra, le piroette… mi stava tutto un po’ stretto e sono finito a lavorare negli Stati Uniti con Julian Beck e Judith Malina fondatori del Living Theatre, la più importante compagnia di teatro d’avanguardia, che ha rivoluzionato le regole del teatro contemporaneo.
Quindi, come ballerino classico già ero abbastanza anomalo, e poi c’è stato un incontro casuale che ha fatto sì che io mi avvicinassi al mondo della moda pur continuando a lavorare prima come ballerino e poi come regista nel teatro.
Mi sono avvicinato a questo mondo perché, quelli che sono stati poi i miei soci per 32 anni di una società importante, stavano cercando dei ballerini per i loro eventi. Io mi sono presentato per il provino… quelle sfilate non le feci mai, ma si creò subito un’intesa fra me e loro, fu creata una società, sono passati 32 anni in cui ho realizzato, parallelamente al lavoro in teatro, sfilate in ogni angolo del mondo.
Io sono sempre stato versatile, ho imparato delle cose nel mondo della moda e spesso le ho trasformate in spettacoli, prima di questo spettacolo su Yves Saint Laurent e Pierre Bergé, di cui parleremo, ho realizzato uno spettacolo su Coco Chanel con MILENA VUKOTIC protagonista, per cui lei ha vinto il premio Duse e il premio Flaiano, i più importanti premi di prosa.
Il pubblico torinese ti ha conosciuto con “Tutto sua madre”, un incredibile spettacolo dove un unico attore interpreta tutte le parti in un monologo esilarante e allo stesso tempo profondo. È la storia di un ragazzo e poi di un uomo che cerca di affermare la propria eterosessualità in una famiglia che, invece, lo aveva già ampiamente catalogato come omosessuale. Quali emozioni fa emergere questo spettacolo? Qual è il messaggio che vuoi trasmettere?
Non avrei mai accettato di mettere in scena una storia come “Tutto sua madre” se non fosse una storia vera, perché non volevo che neanche per un momento ci fosse l’equivoco che attraverso questo spettacolo noi avvallassimo l’idea che di omosessualità si può guarire.
Io volevo che questo fosse ben chiaro, il vero messaggio di “Tutto sua madre” è : è fastidioso quando ti appiccicano addosso un’ etichetta qualunque essa sia!
Mi piace perché è una vera storia ed è la storia di chi l’ha messa in scena, l’attore francese l’ha scritta e l’ha recitata, parliamo di GUILLAME GALLIENNE.
Io ho avuto la fortuna di essere in contatto con lui, uno degli attori più in vista della commedia, del cinema e della televisione francese e siamo diventati amici. L’omosessualità è un equivoco che la madre alimenta e di cui lui fa fatica a liberarsi, a un certo punto ci prova anche a diventare gay con dei risultati molti comici, lo spettacolo è per tre quarti molto comico con disavventure, equivoci, rapporti divertenti.
In Francia, come nella mia versione in Italia tutti i personaggi sono interpretati dallo stesso attore, da noi GIANLUCA FERRATO che fa la nonna, prima e dopo un ictus, il papà, I fratelli, lo psicologo , la zia italiana ubriacona, un’altra zia ancora… sono 20 personaggi, una girandola di personaggi e poi a un certo punto c’è una virata inaspettata, emozionale perché lui rompe quella che a teatro si chiama la quarta parete, si rivolge al pubblico mettendosi a nudo e fa un atto di amore verso la madre e dopo dice che ha incontrato la donna che rappresenta la somma di tutte le donne della sua vita e che si è innamorato.
Tra l’altro è molto interessante questo spettacolo anche verso il mondo LGBT perché è un mondo che ha bisogno di avere degli stimoli verso un’apertura maggiore, l’inclusività deve essere reciproca.
Arriviamo a Lettere a Yves. Come nasce questo spettacolo? Quali atmosfere ci fai respirare? Qual è la tua visione registica?
“Lettere a Yves” nasce perché sono rimasto stregato da queste lettere postume che sono state scritte da Pierre Bergé per un anno intero dopo la morte di Yves Saint Laurent, come se fosse ancora in vita, e questo è già un atto d’amore straordinario che fa venire i brividi solo a dirlo, mi hanno attratto queste lettere che ricostruiscono più di 50 anni di vita personale e professionale di Yves Saint Laurent.
Bergè scrive queste lettere che sono struggenti, di una bellezza anche nella forma e nella struttura incredibile che fortunatamente furono tradotte da una casa editrice che si chiama EO. Questo libro mi capitò per caso fra le mani, lo lessi in una notte e dissi: “ Bisogna fare uno spettacolo assolutamente perché è una storia d’amore, di talento, di arte, di bellezza, di moda!”
Quindi così nasce lo spettacolo e ci tengo a precisare che non sono solo lettere sdolcinate in cui si mette al centro un amore mieloso perché lo spettacolo non nasconde nulla anche degli aspetti più drammatici della condivisione di questa vita: la nevrosi di Saint Laurent, la tossicodipendenza, i tradimenti, ma in tutto questo Bergè era sempre lì ad amarlo, l’amore sopravvive a tutto, anche all’autodistruzione, ai tentativi di suicidio.
È una storia di amore universale al di là dei generi, mi piace dire che non è la storia di un amore gay, ma di un amore universale.
Tra l’altro è l’anno giusto per raccontare questa storia: sono 15 anni dalla scomparsa di Saint Laurent e 5 dalla scomparsa di Bergè. Lo spettacolo racconta tutto questo e lo fa attraverso l’ausilio di una serie di immagini. È come un viaggio anche visivo nella loro vita, nel bello della loro vita, alcune immagini sono inedite, si vedono le loro case quella di Parigi e quella di Marrakech, le grandi sfilate, i loro incontri quando erano giovani, le collezioni d’arte che, dopo la morte di Saint Laurent, furono vendute da Bergè in quella che fu definita l’asta del secolo.
Lo spettacolo è interpretato da uno straordinario PINO AMMENDOLA che legge le lettere, ma non è un reading, è uno spettacolo vero e proprio perché legge con una tale immedesimazione che alla fine si commuove e commuove le persone in sala e c’è anche una sovrapposzione visiva perché Pino e Bergé si assomigliano incredibilmente.
Il tutto è accompagnato con le musiche al pianoforte originali eseguite dal vivo dal
compositore Giovanni Monti e con un cameo canoro a sorpresa finale eseguito da Maria Letizia Gorga che è una straordinaria cantante attrice che canta in italiano dando così la possibilità al pubblico di capire il significato della canzone “La Chanson Des Vieux Amants” che Bergè scelse per il funerale di Saint Laurent perché è in qualche modo la somma della loro storia. Sentirla a fine spettacolo tradotta permette alla gente di capire perché fu scelta al funerale… c’è un passaggio straordinario che dice:
Sicuramente ti sei presa qualche amante
Bisognava pur passare il tempo
Bisogna pure che il corpo esulti
Io ancora mi commuovo dopo 12 anni di repliche ogni volta.
A chi è rivolto questo spettacolo? Perché il pubblico non dovrebbe perderlo?
Perché il pubblico non deve perdere “LETTERE A YVES”… non deve perdere questo spettacolo perché non è una storia soltanto di un amore gay, anche se i protagonisti sono due uomini, è una storia di un amore universale che va al di là dei generi e del tempo; tanto è vero che sopravvive per oltre 50 anni a tutte le bufere, che è fatta di momenti belli e momenti brutti come qualunque storia d’amore che sia degna di essere definita tale e poi perché è uno straordinario viaggio di immagini, di suoni, di parole, di gesti nella bellezza e nell’amore e questo credo che possa essere un balsamo per i nostri tempi.
Quanto e cosa c’è del Roberto privato negli spettacoli?
Talento, studio, passione, quanto contano?
C’è tutta la mia versatilità. Non lo dico per incensarmi perché io sono in fondo un saltimbanco e i teatranti devono rimanere dei saltimbanchi molto modesti… quello che ho imparato negli anni della moda è che bisogna rimanere modesti perché quelli del mondo della moda sono tutto fuorché modesti! Dopo 32 anni ho deciso di occuparmi solo di teatro perché ho meno energia, meno tempo, situazioni familiari che mi richiedono maggior presenza, ma anche perché il teatro racconta il mondo in ogni sua sfaccettatura, oggi cerca di farlo di più anche la moda, ma l’approccio resta diverso. Poi per carità naturalmente non è una cosa che si può generalizzare, però diciamo che l’umiltà non è una cosa che fa prettamente parte del mondo degli stilisti! Alla fine ho fatto una bella carriera, mi sono tanto divertito e ho vissuto con grande ricchezza umana oltre che artistica.
C’è un’altra cosa che è ancora diversa dal talento, ma che è fondamentale… quando sulla disciplina, sull’impegno, sul talento tu aggiungi questa cosa qui allora viene fuori il grande artista e questa cosa si chiama CARISMA.
È qualcosa di speciale, è una luce che viene da dentro e quello fa di te, sommato agli altri due elementi, il talento e lo studio, un grande artista, questo vale per la prosa, per la danza, per la musica.
Quali sogni nel cassetto ha Roberto Piana?
Visto che nella mia vita sono stato fortunato e nella mia vita professionale ho fatto delle cose belle che hanno funzionato bene come questo “Lettere a Yves” in scena da 12 anni, questo è il mio sogno nel cassetto: continuare a creare qualcosa di originale, di non scontato, di non convenzionale perché comunque oltre alla bellezza e al divertimento uno spettacolo deve proporre la riflessione.
Secondo me quando vai in un teatro bisogna che ci sia una parte di stupore, di sorpresa che il palcoscenico ti regala, lo stesso stupore che poi puoi ritrovare nella vita quando giri l’angolo e sbatti contro una persona e te ne innamori!
Salutiamo Roberto Piana dopo quasi un’ora e mezza di chiacchierata con la sensazione di essersi abbeverati ad una fontana della conoscenza dell’arte che sgorgava incessantemente. Davvvero una persona ricca che ha saputo coltivare il suo talento ed arricchire i suoi spettacoli di una luce personale ed unica
Dove trovare i biglietti per “Lettere a Ives”
Link all’acquisto dei biglietti di “Lettere a Yves”.
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