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Lastanzadigreta: scrive e suona canzoni strane! Il nuovo singolo e il video. Intervista esclusiva.
Scuro Chiaro

Lastanzadigreta: scrive e suona canzoni strane! Il nuovo singolo e il video. Intervista esclusiva.

Lastanzadigreta

Balletto Teatro di Torino e Lastanzadigreta collaborano per un progetto audiovisivo originale, il video di “Pesce comune”, nuovo brano estratto da “Macchine inutili”.

Un incontro tra le canzoni pop «in metallo e legno massello» del gruppo torinese e i danzatori del BTT per inventare un nuovo modo di interazione tra i diversi linguaggi, una collaborazione che unisce «sotto lo  stesso mare» intuizioni, passioni , ricerca e desideri.

Pesce comune“, registrata con la collaborazione degli archi e dei fiati della Filarmonica del Teatro Regio di Torino, è una canzone dedicata alla società contemporanea, un delicato apologo su una civiltà distrutta da se stessa, dalla propria ingordigia e dalla propria arroganza, alle soglie di un «mondo nuovo» che ancora tarda ad arrivare. La canzone è perfetta per raccontare l’attuale epoca di incertezza e instabilità, divisa tra vecchie e nuove paure e la speranza di saper ancora – almeno – immaginare un futuro migliore.

Chi è Lastanzadigreta

Lastanzadigreta” è Alan Brunetta (percussioni, marimba, tastiere, bidoni); Leonardo Laviano (voce, chitarre); Umberto Poli (chitarre, cigar box); Flavio Rubatto (theremin, didjeridoo, sintetizzatori, voce); Jacopo Tomatis (mandolini, sintetizzatori, giocattoli, voce).
Un collettivo di cinque musicisti torinesi che scrive canzoni e sviluppa progetti culturali, attivo dal 2009.
Da sempre “Lastanzadigreta” alterna i concerti all’attività teatrale e dal 2011 i componenti della band sono anche il cuore dell’Associazione Culturale altreArti, che ha sede a Torino e propone una vera e propria rivoluzione didattica nell’insegnamento della musica.

L’intervista a Lastanzadigreta

“Pesce comune” mi nasce subito questa domanda: ma “pesce comune” in realtà siamo tutti noi?
Come spesso diciamo, noi non vogliamo assolutamente fornire delle morali o insegnare a vivere, detto questo però è irrinunciabile ammettere che “pesce comune” potrebbe essere ognuno di noi. Dovremmo avere la capacità di riuscire a guardare le situazioni da un punto di vista diverso, magari da un punto di vista che sia più vicino a chi patisce l’effetto di una vicenda umana. Ci è piaciuto chiamarlo “pesce comune” e non utilizzare un pesce specifico, proprio per questo motivo, perché “Macchine inutili” è popolato da personaggi di vita trasparenti che di solito nessuno nota. “Pesce comune” quindi è la versione marina di una persona che passa in mezzo a tante altre e che comunque porta con sé vicende uniche.

Pesce comune cover
La cover di Pesce Comune.

Come mai la scelta di questo nome: Lastanzadigreta?
Aldilà di tutto ha ben poco di onirico ed è molto concreta come causa. Noi suoniamo insieme dal 2009. Prima di quella data eravamo cinque personaggi, tutti impegnati in progetti musicali diversi e che non si conoscevano. Un amico comune ci ha chiesto una mano per organizzare un’iniziativa in un centro che si occupa della riabilitazione di persone con problemi postraumatici. Questa iniziativa si svolgeva attraverso il legame con una famiglia la cui figlia, Greta, era una delle persone che avrebbe beneficiato di queste cure. Questo episodio si è poi concluso e noi abbiamo capito che ci piaceva suonare insieme e, quando abbiamo dovuto scegliere il nome, abbiamo scelto di chiamarci in un modo che però portasse con sé la ragione per cui siamo insieme e quindi è stato scelto questo nome. Greta purtroppo non c’è più però ce la portiamo dentro come musa ispiratrice.

Un messaggio bellissimo e un’idea fantastica! Leggevo tra l’altro nella vostra dicitura Instagram che “Lastanzadigreta” scrive e suona canzoni strane. Cosa intendete?
Ognuno di noi in fondo ha l’ambizione di essere definito strano. L’ego quando viene definito strano ha un sussulto di gioia e chi fa questo mestiere un po’ strano deve esserlo per forza. Noi, ascoltando la musica che gira intorno al vate Fossati, ci rendiamo conto che abbiamo un’istintiva voglia di ascoltare qualcosa di diverso. Quando scriviamo le canzoni il nostro fare musica è un fare musica un pò come i bambini, cercando di infilare al minimo le “seghe mentali” nella costruzione della canzone. Noi non ci vergogniamo nel definirci Pop considerando che lo puoi fare o con i suoni tradizionali o andando a cercare qualche timbro non convenzionale.

Per questo che dici le canzoni pop di metallo e legno massello?
Assolutamente si. Noi pur rispettando e amando le macchine campionatrici, che usiamo, preferiamo piuttosto che campionare il suono di un bidone di petrolio alto 1,20m, averlo reale e portarcelo dietro.

Quindi dei veri artigiani! Mi piace molto usare la parola artigiano invece che artista.
Sì noi siamo soprattutto artigiani. Pensa che abbiamo un pianoforte elettrico bellissimo che però è stato recuperato da una discarica perché qualche pazzo lo aveva buttato via. Abbiamo un harmonium portatile, quello che il prete di campagna usa per fare le messe. Abbiamo pentole, padelle appese a delle aste. Non abbiamo la batteria classica ma bidoni dell’immondizia. Anche la batteria che si sente in “Pesce comune” non è una batteria!

Il Balletto Teatro di Torino
Il Balletto Teatro di Torino.

In questo brano però siete andati a ricorrere a una collaborazione molto classica ovvero quella col Balletto del Teatro di Torino.
Questa cosa ce la siamo potuta permettere perché questo disco esce con il contributo della Siae che ha guardato di buon occhio il nostro progetto e noi ne siamo stati felicissimi. Senza questo non ci saremo potuti permettere una sezione dell’orchestra del Regio di Torino. Un’altra cosa che noi cerchiamo di fare è quella di spaccare un po’ l’annosa questione dei codici. Appunto perché ci definiamo pop e avendo anche vinto la targa Tenco, diciamo che ci siamo stancati di questa categorizzazione della musica d’autore, della musica pop, della musica seria, di quella meno seria. Abbiamo immaginato uno scenario acustico per ciascuna delle canzoni e in alcune di loro ci sarebbe piaciuto unire suoni di campionatori analogici con batterie fatte con strumenti di recupero  insieme ad una sezione dell’orchestra classica come è stato per “Pesce comune”. Il risultato ci piace molto e secondo noi è uscito qualcosa di trasversale.


L’unica codifica che ci piace ricordare è quello di Duke Ellington ovvero che ci sono due generi musicali, uno brutto e uno bello, ecco noi speriamo di essere nel secondo…

Pesce Comune dice “una civiltà distrutta da se stessa in attesa di un mondo nuovo”. Questo pensiero nasce anche dall’esperienza che stiamo vivendo ora?
Purtoppo noi siamo gli antesignani che rimangono fregati perché molti pensano che la nostra Greta sia Greta Thunberg. Noi amiamo Greta Thunberg ci piace quello che fa e quello che rappresenta per tutti ma quando è nata la nostra “Stanzadigreta” lei andava all’asilo nido. Questo disco era pronto già prima della pandemia e sarebbe dovuto uscire a maggio 2020 e quindi il disco è sorprendentemente aggiornato alle tematiche, ai sentimenti e alle prospettive attuali.

Insomma diciamo che siete o preveggenti o ce l’avete un po’ tirata.
Diciamo che l’emblema di averci visto giusto è nel il titolo del nostro disco perché “Macchine inutili” è quello che Bruno Munari teorizzava settant’anni fa e che diceva che il mondo sarebbe stato governato dalle macchine. E lui con grande ironia ne aveva progettate tante di macchine che non servivano a niente. Il suo concetto era: ”oggi se non vieni misurato per quanti pezzi fai o quanta ricchezza produci sei inutile”. Bene durante la pandemia tutta l’arte è diventata una macchina inutile e non sempre a torto perché quando si parla di vivere anziché morire dal punto di vista medico sanitario è ovvio che si dia la precedenza a certi problemi. Però è anche vero che l’arte è rimasta lì chiusa in un cassetto ritenuta in questo momento non utile.

Secondo te sopravviveranno, dopo tutto questo, anche nell’arte i pesci non comuni? Forse siamo stati invasi da troppi pesci comuni?
Ma sai il problema sempre sta nella commercializzazione delle cose perché quando l’arte rimane l’entità astratta, non afferrabile, che è nella mente di ciascuno di noi, può essere quello che vuole. Ma quando l’arte ha bisogno di calarsi nel tessuto sociale attraverso i veicoli stessi con cui viaggia il pane la pasta o la benzina ecco che spesso diventa qualcosa che è una lontana imitazione dell’arte. Non sempre a torto. Noi per esempio abbiamo proposto “Pesce comune” al Festival di Sanremo. Chiaramente non ci hanno neanche risposto… però il punto è che gli operatori musicali quando decidono se spendere dei soldi o no su un progetto sono spesso dominati dalla paura, io non ci vedo sempre solo malafede. Quindi tra il tentare qualcosa di nuovo ma che non da garanzia di guadagno o scegliere un progetto che assomiglia a tanti altri ma che sai che funzionerà perché c’è già un pubblico, la scelta ricade sempre su quest’ultima. Molte scelte oggi vengono dettate dalla paura. Una volta gli operatori musicali erano solo gente grassa con il sigaro e un sacco di soldi. Chiedevano a te se la cosa poteva funzionare, tu dicevi di si e loro ci provavano al massimo se non funzionava ti davano un calcio nel culo. Oggi invece gli operatori sono più “del mestiere” e cercano di filtrare loro ciò che può piacere al pubblico.

Ma credi ancora che la musica possa essere un motivo di denuncia?
Guarda lo è stato per troppo tempo e lo è stato anche a sproposito ma secondo me sì. Non bisogna dare un giudizio ma bisogna dare spazio ad ognuno per pensare a proprio modo. E’ un po’ come gettare un seme. La denuncia è quello secondo me, non è tanto alzare la voce quanto proporre una voce diversa.

Tu hai citato prima il Festival di Sanremo. C’è stato qualcuno degli artisti in gara con cui vi trovate in sintonia, o comunque anche in generale quali sono i vostri artisti di riferimento?
Allora io continuo un po’ nel mio tono democristiano conciliante quando dico queste cose. C’è da riconoscere a Sanremo, negli ultimi anni, un grande sforzo, quello di essere realmente una vetrina che rappresenta la musica di tendenza. Ricordo edizioni in cui passavano canzoni che poi non avresti mai più sentito. C’era una dicotomia pazzesca tra quello che c’era sul palco e quello che c’era in radio. Questo non c’è più. C’è da riconoscere che negli ultimi 6-7 anni il Festival è diventato più rappresentativo delle tendenze attuali. Poi è ovvio che Sanremo è il SuperBowl della musica italiana e quindi è inutile nascondere che le case discografiche si impegnano a fondo per cercare di fare il botto. In questo Festival arrivato in un anno in cui, non si è suonato dal vivo, non si sono fatti festival, Sanremo era una strettoia dentro cui ci dovevano stare proprio tutti e quindi mi sono saltate all’occhio, come episodi negativi, alcuni artisti generalmente di ottimo livello che hanno portato canzoni un po’ per tirare a campare. Questa cosa purtroppo è stata un aspetto poco positivo di tutto quanto.

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Però c’è stata anche una cosa stranissima, ovvero un personaggio come Orietta Berti che torna  in maniera così piacevole e solare, balza sopra quelli che in questo momento sono i fenomeni di tendenza. Che sia un segnale che la gente voglia tornare alla musica?
Orietta Berti non è andata li per dimostrare niente a nessuno e soprattutto ha portato un progetto di coerenza. E’ arrivata lì con un pezzo perfetto, Arisa è arrivata con un pezzo perfetto scritto da Gigi d’Alessio. Mentre altri cantautori stimati sono arrivati con brani deboli. E’ chiaro che Colapesce Dimartino hanno spaccato in un modo clamoroso anche perché il fenomeno della canzone che non si prende sul serio è qualcosa che piace sempre.

Non lo so però io ascoltandovi un po’ ho pensato allo stato sociale no?
Loro sono bravissimi per carità, poi sai è strano perché noi cinque abbiamo gusti musicali completamente diversi. Io nasco con il pop inglese degli anni ’80 mi piace il pop italiano fatto bene di trenta quaranta anni fa, adoriamo Battiato che forse è l’artista più nominato quando ci sentono suonare. In sintesi quindi sì forse a Sanremo mancavamo perché un pezzo così forte non c’era. Però ritornando a uno dei pezzi del Festival direi che il brano di Colapesce Dimartino e “Pesce comune” hanno in comune una cosa, l’ironia triste del pezzo.

Quindi riproverete il festival?
Noi tutti gli anni ci proviamo, facciamo da contrappeso a questo esercito di cantautori che si schifano e dicono Sanremo assolutamente no. Per noi è divertente soprattutto perché, se fai musica solo per una nicchia, hai bisogno che la tua roba giri il più possibile. Resteremo sempre incorruttibili sotto il profilo stile. Non bisogna essere mai la cover di nessuno.

Progetti per il futuro arriva qualcos’altro presso il Comune?
Speriamo. Noi abbiamo molta voglia di suonare. Abbiamo nel palco la nostra dimensione naturale, non siamo tanto gente da studio. Questo disco è nato in due mesi di registrazione. Noi non vediamo l’ora di suonare il più possibile, speriamo di fare altre cose col balletto del Teatro di Torino perché ci siamo trovati molto bene. Nei nostri concerti noi spesso facciamo suonare anche il pubblico con quello che ha, con le chiavi, con le dita. Noi vogliamo tornare a fare quello perché non ne possiamo più!

Il video di “Pesce comune”

Diretto dal collettivo torinese Ratavoloira – il video mette in scena un atto performativo originale dei sette danzatori del BTT: sette corpi per raccontare «la molteplicità dell’unico» attraverso stratagemmi visivi, ombre, dettagli estrapolati e scenografie, con l’obiettivo di portare lo spettatore in un ambiente surreale ma ben cucito sul testo e le atmosfere della canzone.

Il video è stato girato in un lungo piano sequenza presso gli splendidi spazi post-industriali di Cumiana 15, «bene comune restituito alla città» di Torino, in uno dei giorni più freddi di gennaio (con i danzatori eroicamente scalzi sul cemento). I cinque musicisti di Lastanzadigreta vi compaiono intenti a suonare «sotto il mare», in quell’universo nascosto dove – metaforicamente e meno metaforicamente – si vanno a nascondere le verità più scomode, il rimosso del mondo in cui viviamo.





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